Ci sono giorni che vorremmo cancellare dal calendario ed altri che invece ci rimandano a dei pensieri, delle emozioni che vorremmo sempre tenere con noi sotto il cuscino, quando camminiamo con gli occhi sognanti ricordando momenti gioiosi.

Tenere piccoli oggetti, quasi amuleti, che ci ricordino i momenti in cui tutto sembrava andar bene ci permettono di affrontare meglio anche i momenti più difficili, ci ricordano infatti che questi ultimi passeranno.

Tra le notti che amo di più c’è certamente la notte di San Lorenzo, la notte delle “stelle cadenti” che altro non sono che meteore che attraversano la nostra vita, come gli eventi. Si infuocano, ci fanno sognare, ci fanno esprimere un desiderio e poi scompaiono di nuovo negli abissi della notte, nei vari “atomi opachi di Male” che qualche volta la vita ci riserva.

La notte di San Lorenzo è la notte alla ricerca di un desiderio da esprimere, nasi puntati verso il nero del mare infinito o di una vallata oltre la vetta in montagna, aspettando che qualcosa succeda. E succede. E restare sopresi ed affascinati, come se, chissà, forse stanotte le stelle cadenti non verranno.   

Ed è così anche per la ceramica. Prima era terra polverosa, poi fango, poi dura e fragile, poi rossa come il fuoco che brilla anche quando io non la vedo, nel forno chiuso che manda luci lontane come quelle delle meteoriti che si infuocano al contatto con l’atmosfera.

Il fuoco che sancisce e che purifica, il fuoco che rende eterno ciò che prima poteva tornare fango alla prima pioggia. Il fuoco che regna sovrano come il Cielo dall’alto dei mondi sereni, infinto, immortale, spesso mi restituisce i miei Angioletti, pronti a volare nelle mani di chi li compra ad un mercatino di Natale o chi lo riceve per potersi ricordare che lì, oltre il gran pianto, c’è sempre un fanciullo interiore a ricordare che anche questa meteora passerà.  

X agosto

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

  • Giovanni Pascoli