LA CERAMICA INSEGNA

Ci sono cose nella vita che vorremmo tenere per sempre con noi, immutate e immutabili. Ci sono sogni che vorremmo vedere realizzati, li costruiamo nella nostra testa, li progettiamo fin nei minimi particolari, ci prepariamo, studiamo e poi paf, ci mettiamo le mani.

Altre volte lasciamo che i sogni si formino nelle nostre mani, per lasciarci sorprendere e creare qualcosa di bello, di nuovo.

Così nella prima lezione di ceramica in lock-down, attraverso delle immagini piccole piccole delle mie allieve che comparivano senza odore e con molto rumore nel mio cellulare, ho detto loro: “chiudiamo gli occhi e lasciamo che la ceramica ci parli. Sentiamone la temperatura, la consistenza, e, ad occhi chiusi, vediamo cosa ne viene fuori!”.

Abbiamo chiuso gli occhi, silenzio oltre i rumori di interferenza delle connessioni, ognuna di noi con il proprio pezzo di creta. Quanto tempo è durato? Un minuto o un’ora? Non lo so, mi vien da dire semplicemente tutto il tempo necessario.

Il primo atto della creazione spontanea era avvenuto, come la nascita di qualcosa che non ha ancora preso forma ma ha già il suo carattere e la sua anima. Quando abbiamo aperto nuovamente gli occhi ognuna di noi ha guardato ciò che avevamo tra le mani. Lo abbiamo accolto, ne abbiamo anche riso un po’, l’abbiamo osservato dal punto di vista tecnico ed ognuna di noi ha scelto come proseguire.

Ne è venuto fuori un totem, la base di un porta lampada ed una scultura, dei delfini, forse, che un giorno avrebbero nuotato felici in un mare azzurro.

La ceramica ci dice che dopo l’atto creativo c’è la prova del fuoco, quello che ci dice se quell’oggetto aveva ragione di esistere oppure no. Vorremmo sempre che tutti i nostri sogni si realizzassero, ma non sempre è destino che vada così. Ogni volta che chiudo il forno della ceramica e spingo sul pulsante per far salire la temperatura so che sto affidando il mio oggetto ad un disegno più grande di me. Posso immaginare alcune volte che quell’oggetto sia a grande rischio, dipende come l’ho trattato prima, dipende dalla cura che ci ho messo, se è troppo fine o troppo spesso, ed anche da quanto sto tirando le leggi della chimica e della fisica. È tutto lì, rinchiuso in quei pochi decimetri quadrati. Quando aprirò il forno saprò cosa è successo.

Quello dovrebbe essere il momento in cui “lascio andare”, in cui ho fatto del mio meglio ed ora non dipende da me…. Ma ma ma … difficilmente ci riesco. Continuo a sperare che tutto vada bene, che vada per il meglio, anche se ho tirato la corda, anche se lo sapevo dall’inizio che non poteva andare, anche se lo so che può andar bene e può andar male. Spero che vada tutto per il meglio e non che vada tutto come deve andare.

Eppure, come faccio io a sapere qual è il meglio? Il meglio per cosa? Per chi?

“Il meglio è che la statua esca fuori tutta intera, idiota!” Blatera la voce impertinente nella mia testa. Non ci penso, “lancio” il forno e mi estraneo, ci penserò dopo, ci penserò domani quando sarà il momento di aprire e con il cuore sempre un po’ sospeso aprirò chiedendomi: “è andato tutto bene?”.

L’ho aperto, quel forno, e lì c’era la statua di Sabine con i delfini che invece di saltare felici si erano staccati dal loro futuro mare, dalla fantasia, dalla speranza di una prima statua istintiva da mettere in bella mostra nel salone di casa si era presentato come un ennesimo esercizio per imparare qualcosa.

“Come faccio a ripararlo? Come faccio a rimetterlo insieme?” sembrava fosse l’insegnamento di oggi. Ne abbiamo parlato, abbiamo cercato di individuare le cause, come si può far meglio per la prossima volta. Per questa volta possiamo cercare di rimettere i pezzi insieme, possiamo cercare di costruire qualcosa di diverso, ma non sarà mai più come prima, non sarà mai più come ce lo siamo immaginati.

Quello che resta è che non tutto è in nostro controllo ed arriva un momento in cui dobbiamo imparare a lasciar andare, il forno, l’idea della statua o della nostra vita che avevamo in mente.

Lasciar andare perché quello che abbiamo ora di fronte è una nuova possibilità di imparare dalla nostra esperienza dov’è che abbiamo maggiore resistenza? cos’è che facciamo fatica a lasciare andare e perché? Possiamo far finta che sia solo un oggetto di ceramica, ma se guardiamo più a fondo ci sono altre situazioni in cui ci siamo sentiti nello stesso modo, abbiamo voluto recuperare l’irrecuperabile oppure abbiamo abbandonato troppo presto.

Per ognuno è diverso, come diversa è la vita di ognuno. Quello che ci insegna la ceramica è di lasciare andare quando siamo pronti per farlo ovvero quando c’è quella sensazione di abbandono nella pancia che ci dice: è andata così ed io posso accettarlo.